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L'uso privato dei beni confiscati alle mafie è pericoloso

Il protocollo di accordo firmato il 1 luglio dall'Agenzia per i beni confiscati, dal Ministero degli Interni e da quello dell’Agricoltura che destina parte dei terreni confiscati alle mafie a singoli affittuari privati è sbagliato e pericoloso perché apre la strada ad un utilizzo privato dei beni confiscati, diverso da quello sociale stabilito dalla legge Rognoni La Torre, facendo venir meno il principio della restituzione alla collettività di ciò che la mafia ha tolto.

Su questo, con i colleghi della Commissione Antimafia, Verini, Barbagallo, Serracchiani, Rando, Orlando, Provenzano, Valente, abbiamo presentato un’interrogazione rivolta al Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo alla Premier di annullare l'accordo.
Il protocollo di accordo stabilisce di riassegnare un primo blocco di 1400 terreni confiscati, sui 9000 a disposizione, a giovani imprenditori del settore agricolo a canone agevolato. Rivolgendosi per la prima volta ad attività di tipo imprenditoriale, il protocollo apre dunque la strada alla privatizzazione nella gestione dei beni confiscati, allontanandosi dall'idea di riuso sociale del bene confiscato come principale strumento della lotta alle mafie e disconoscendo l'importante lavoro fin qui svolto dal terzo settore.
Nessuna delle imprese coinvolte, da quanto si legge nella comunicazione ufficiale dell'Agenzia, verrà sottoposta a un codice etico sulle norme per la contrattazione collettiva e contro il subappalto, sul rispetto di vincoli per coltivazioni non intensive, sul rispetto delle norme a tutela dell'ambiente e dell'ecologia locale.
Per questo chiediamo alla Premier di intervenire per annullare il protocollo alla luce di vari profili di illegittimità.

Testo dell’interrogazione:

Interrogazione alla Presidente del Consiglio dei Ministri
Premesso che
La legge n. 646, del 13 settembre 1982, nota come legge "Rognoni-La Torre", ha introdotto nel codice penale il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (articolo 416 bis) ed anche la conseguente previsione di misure di sequestro patrimoniali applicabili all'accumulazione illecita di capitali;
Il comma 7 del primo articolo della legge 646 stabilisce che “nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego”;
con la legge 109 del 1996 che reca “Disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati" si stabilisce che la restituzione alla collettività delle ricchezze e dei patrimoni sottratti alle organizzazioni criminali diventa un'opportunità di impegno responsabile per il bene comune. La dimensione etica dei percorsi scaturiti dalle esperienze di riutilizzo per finalità sociali si trova, infatti, nella corresponsabilità che ha trasformato quei beni da esclusivi a beni condivisi;
La legge 109 del 1996 disegna un originale modello italiano di riutilizzo dei beni confiscati; infatti, si caratterizza per la possibilità di trasferire i beni confiscati agli enti Territoriali che possono impiegarli per scopi istituzionali ma principalmente per scopi sociali, assicurandone così la restituzione alle stesse comunità danneggiate dal fenomeno criminale;
A seguito della confisca definitiva i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato. È l’Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati a deliberare in ordine alla destinazione del bene, versando al Fondo Unico per la Giustizia le somme di denaro, ivi incluse quelle derivanti dalla vendita dei beni. I beni immobili sono mantenuti al patrimonio dello Stato (per finalità di giustizia, ordine pubblico e protezione civile o per essere utilizzati da altre amministrazioni pubbliche) ovvero trasferiti agli enti locali che potranno gestirli direttamente oppure assegnarli in concessione, a titolo gratuito, ad associazioni del terzo settore, seguendo le regole della massima trasparenza amministrativa e del riuso sociale;
In data 1 luglio 2024 l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e il MASAF, alla presenza del Ministero dell'Interno, hanno firmato un protocollo d'accordo per riassegnare, attraverso la controllata Ismea, un primo blocco di 1400 terreni confiscati sui 9000 a disposizione, a giovani imprenditori del settore agricolo previo corresponsione di un canone agevolato;
Tale protocollo, per la prima volta, rivolgendosi ad attività di tipo imprenditoriale, apre la strada alla privatizzazione nella gestione dei beni confiscati cedendo il passo a meccanismi meramente economici che si allontanano dall'idea di riuso sociale del bene confiscato come principale strumento della lotta alle mafie disconoscendo l'importante lavoro fin qui svolto dal terzo settore come motore principale di un nuovo modello di sviluppo territoriale;
Rilevato che
Il protocollo prevede solo che le attività imprenditoriali debbano avvenire all’interno di progetti che prevedano iniziative a favore di soggetti con disabilità ed immigrati, nonché iniziative a carattere didattico e divulgativo. Si svuota così la programmazione di percorsi dedicati al territorio, rendendoli delle mere iniziative di contorno ad attività economiche. Nessuna di queste esperienze di imprenditorialità, da quanto si legge nella comunicazione ufficiale dell'Agenzia, verrà sottoposta a un codice etico sulle norme per la contrattazione collettiva e contro il subappalto nella filiera agricola, sul rispetto di vincoli per coltivazioni non intensive ma piuttosto votate al biologico, sul rispetto delle norme a tutela dell’ambiente e dell’ecologia locale;
il protocollo svilisce il senso del riuso sociale attraverso dei contratti di affitto a imprese private, immaginando solo il reimpiego dei profitti, e che questo vuol dire privare i territori di percorsi di consapevolezza e di rinascita, che devono essere accompagnati e non troncati sul nascere;
Per sapere se
La Presidente del Consiglio sia informata sui fatti sopra esposti e se non ritenga:
che questa iniziativa possa aprire le porte ad una privatizzazione dei beni confiscati alle mafie stravolgendo il senso della norma;
di intervenire per annullare il protocollo alla luce dei profili di illegittimità dell'atto stesso, vista la platea dei destinatari dei beni confiscati difforme da quella prevista dalla norma che si rivolge esclusivamente ad enti locali, associazioni o comunità e non certo a singoli imprenditori, e al contempo visto che la legge 109 e il successivo art. 48 del Codice antimafia prevedono specifiche procedure per l’assegnazione dei beni immobili confiscati, procedure che non contemplano affatto intese tra ministeri e meno che mai un coinvolgimento del ministero dell’agricoltura.

 

 

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