Per far arrivare investimenti dall’estero occorre riformare la giustizia
Articolo pubblicato da Zona Nove.
In queste settimane, il Parlamento sta iniziando ad affrontare le riforme decisive per poter ottenere e spendere al meglio i soldi che l’Europa ha messo a disposizione per la ripresa, i 230 miliardi del Recovery Fund.
Innanzitutto, le riforme della Giustizia. La lentezza dei processi e della giustizia civile sono un handicap importante per il nostro Paese. Chi vuole venire in Italia ad investire oggi sa che ogni problema o contenzioso giudiziario richiede anni per essere risolto e la necessità di sopportare costi più alti dovuti ai troppi passaggi e alle lunghezze burocratiche.
Per questo servono riforme vere, soluzioni concrete per avere tempi certi e sentenze giuste.
Per questo bisogna uscire dalle contrapposizioni ideologiche che hanno segnato il dibattito sulla giustizia in questi anni e che qualcuno sta riproponendo, promuovendo referendum che non risolvono nulla ma rischiano di alimentare solo le contrapposizioni e le semplificazioni: contro i giudici, contro i garantisti o contro i giustizialisti.
È invece possibile oggi fare davvero le cose che servono per cambiare la giustizia, perché l’Europa ci stimola, vincolando il sostegno economico alle riforme e perché c’è un Governo di unità nazionale.
È possibile e necessario.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha già previsto di assumere 18mila persone per collaborare con i magistrati nell’ufficio del processo e poter prima di tutto smaltire le pratiche arretrate e ridurre così i tempi.
L’esperienza della pandemia ha molto accentuato l’utilizzo delle udienze da remoto ma soprattutto quello della rete per le comunicazioni, il deposito degli atti ecc. Si tratta quindi di investire, e anche questo fa il PNRR, nella digitalizzazione degli uffici giudiziari e nel rafforzamento delle banche dati e della interconnessione tra di loro per rendere più efficaci le ricerche e le indagini.
Insomma, non serve solo cambiare alcune norme ma, prima di tutto, investire in personale, tecnologie e organizzazione, guardando anche alle buone pratiche che hanno portato diversi tribunali, tra cui il nostro di Milano, a garantire tempi corretti e rapidi dopo aver esaurito l’arretrato.
Le riforme comunque servono.
Serve che per le cause civili si possa incentivare la mediazione e l’arbitrato, evitando che tutto vada a processo e, quindi, ad appesantire una fase che può essere evitata, appunto, favorendo la mediazione per tutti i contenziosi più piccoli, anche aumentare l’importo delle cause (oggi fino a 5.000 €) che possono essere affrontate dal Giudice di Pace può contribuire a sgravare l’attività processuale.
Naturalmente servono riforme anche per il Processo Penale e, anche in questo caso, serve incentivare i riti alternativi al processo, magari guardando anche agli altri Paesi.
In Germania, ogni anno, oltre 200mila cause penali vengono risolte con la giustizia riparativa: un sistema in cui l’archiviazione viene sospesa fino a quando l’imputato non dimostra di aver fatto ciò che gli era richiesto per espiare la pena.
Serve certamente anche stabilire tempi certi per far sì che i processi non durino all’infinito o si rischi di non arrivare a sentenza nell’interesse delle vittime e degli imputati.
La riforma della prescrizione è possibile stabilendo la durata delle diverse fasi processuali e garantendone il rispetto.
Tutto ciò, e molto altro sulla giustizia, può e deve essere fatto in Parlamento nei prossimi mesi.
Si tratta di restituire fiducia e credibilità alla magistratura, dopo le orribili vicende emerse dal caso Palamara, che comunque non possono mettere in discussione il lavoro della stragrande parte della magistratura; serve la riforma del CSM, l’organo di autogoverno della magistratura, e la definizione di un soggetto terzo per giudicare i ricorsi disciplinari sui giudici.
Serve riformare la giustizia, non fare propaganda, non speculare sulle emozioni delle persone.
È vero Brusca ha commesso delitti orrendi e dopo 25 anni di carcere è uscito. Nessuna pena può fare venire meno l’indignazione e la rabbia per ciò che ha fatto. Ma Brusca esce dal carcere perché ha scontato la pena che gli è stata data sulla base di una legge e di una sentenza che ha riconosciuto il fatto che, collaborando con la giustizia, Brusca ha consentito di decapitare Cosa Nostra, evitando altri crimini e portando a centinaia di arresti.
Certamente, è doloroso ma senza la collaborazione dei pentiti la mafia non si combatte.
In questa vicenda non ha vinto Brusca ma lo Stato che, grazie alle proprie leggi e ai magistrati, ha dato colpi durissimi alla mafia.