Mafia, altri reati, collaborazioni: miglioriamo la legge sul 4bis
Articolo pubblicato su Il Riformista.
Il provvedimento sull’ergastolo ostativo, contenuto nell’ultimo decreto del Governo, ripropone integralmente il testo approvato alla Camera dei Deputati nella scorsa Legislatura, non licenziato definitivamente al Senato a causa dell’interruzione anticipata della stessa.
Con questa norma si risponde, credo positivamente, a ciò che la Corte Costituzionale aveva chiesto al legislatore: da una parte consentire, nel rispetto dell’idea di funzione riabilitativa della pena contenuta nella nostra Costituzione, la possibilità di accedere ai benefici anche ai detenuti condannati per reati di mafia che non collaborano con la Giustizia, dall’altra parte garantire che l’accesso ai quei benefici non significhi mettere in libertà persone che mantengono rapporti o, addirittura, ruoli nelle organizzazioni criminali.
Resta, in concreto, il tema della distinzione dei reati ostativi.
Il testo approvato alla Camera definisce, giustamente, un doppio binario tra reati di mafia e terrorismo e gli altri che, negli anni, sono stati aggiunti al 4bis. Su questo è necessario arrivare ad una definizione più chiara della differenziazione, soprattutto delle procedure per l’accesso ai benefici.
Credo che la sentenza della Corte sia giusta e benvenuta.
Ristabilire il principio secondo cui a nessuno in carcere può essere tolta la speranza o esclusa la possibilità di cambiare è giusto e coerente con la funzione della pena così come è definita dalla nostra Costituzione.
Cero, di fronte a reati odiosi come quelli di mafia serve rigore nel verificare una reale presa di distanza dalle organizzazioni criminali e prevedere un numero di anni di reclusione più alto per poter accedere alla liberazione anticipata o agli arresti domiciliari. Ma resta sancito il principio che a nessuno può essere preclusa la possibilità di ottenere i benefici previsti dalla legge e il fatto che si dia esplicitamente valore agli atti riparativi per le decisioni dei magistrati di sorveglianza è una ulteriore innovazione.
Sancire che la collaborazione non possa più essere necessaria per accedere ai benefici non può e non deve in alcun modo far passare in secondo piano il valore che lo Stato attribuisce alla collaborazione, che è e resta uno strumento importante e spesso decisivo per la lotta alle mafie.
Per questo, serve contestualmente all’approvazione della legge, magari emendandola su questo, una nuova normativa che incentivi ulteriormente la collaborazione, definendo nuovi benefici o, semplicemente, riducendo i tempi per accedervi.
Di questo tema dobbiamo farci carico se vogliamo evitare che una nuova legge, per quanto giusta, faccia perdere di vista l’attualità della lotta alle mafie e la necessità di rafforzare gli strumenti per contrastarle.
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