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Una legge per il sostegno e il rilancio delle politiche abitative di edilizia residenziale pubblica e sociale

Da sempre sono impegnato sul tema della casa e della costruzione di politiche per un'abitare sostenibile, per questo, tra i primi atti della nuova Legislatura, ho depositato un Disegno di Legge contenente Misure per il sostegno e il rilancio delle politiche abitative di edilizia residenziale pubblica e sociale.

Scheda del Disegno di Legge A.S. 40 - Misure per il sostegno e il rilancio delle politiche abitative di edilizia residenziale pubblica e sociale»

Testo della Relazione:

La mancanza di una politica che agisca strutturalmente nel settore abitativo e di risposte che nel tempo si sono succedute solo sporadicamente, con risorse scarse e senza interventi programmati, mostrano con evidenza come siano oggi in discussione il welfare abitativo e le politiche sociali della casa, contestualmente alle generali politiche sociali. Il problema è reso più grave dagli effetti di una crisi che fa sentire i suoi effetti e con una spirale recessiva ancora presente. Questa ha prodotto un'erosione dei redditi di cittadini e un aumento delle disuguaglianze, acuendo difficoltà economiche e disagio abitativo.
L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha evidenziato come l'Italia abbia registrato negli anni della crisi uno dei maggiori aumenti delle disparità tra i Paesi industrializzati e come continuano ad ampliarsi, anche nei periodi più recenti, divari economici e sociali.
L'ISTAT registra 5 milioni di poveri nel 2017, un dato che non è presente dal 2005: l'8,4 per cento della popolazione vive in condizioni di estrema povertà, la metà, o quasi, risiedono al Sud. Il fenomeno interessa il 10,2 per cento degli italiani e il 40 per cento degli stranieri.
L'ISTAT ha anche più volte evidenziato come le spese per la casa rappresentino uno dei capitoli principali delle uscite per le famiglie, diffondendo il dato relativo a quelle « in difficoltà » con il pagamento delle spese per la casa, a causa dell'onerosità delle spese stesse e, in particolare, alla loro incidenza sul reddito: circa 3 milioni, l'11,7 per cento del totale.
Punte di forte emergenza sono rappresentate dagli sfratti, in particolare per morosità, passati dalle percentuali irrisorie dei primi anni Ottanta all'attuale 90 per cento delle sentenze emesse.
La vasta area di disagio è restituita in modo oggettivo anche da altri dati: 650.000 domande di edilizia pubblica sono inevase presso i comuni e gli ex Istituti autonomi case popolari (IACP); 4 milioni di giovani tra i 25 ed i 39 anni risiedono ancora con la famiglia di origine; 3 milioni di lavoratori stranieri vivono in affitto in coabitazione ed in condizioni di sovraffollamento. Delle famiglie in locazione oltre il 70 per cento ha un reddito inferiore ai 30.000 euro annui e vive in prevalenza nei grandi centri urbani, dove gli affitti sono più elevati; delle famiglie in proprietà il 20 per cento (3,3 milioni) deve assolvere al pagamento di un mutuo e circa un terzo ha un valore immobiliare inferiore a quello per cui hanno chiesto il prestito. La svalorizzazione immobiliare causata dall'eccedenza di produzione è diventata un altro fattore di impoverimento.
L'Italia si distingue tra i Paesi europei più sviluppati per una spesa sociale destinata alla casa tra le più basse d'Europa (0,03 per cento del PIL contro lo 0,6 per cento nei Paesi dell'Unione europea), per una delle più basse quote di edilizia pubblica (il 4 per cento del patrimonio abitativo ed un quinto del mercato dell'affitto), nonché per una minore dimensione del patrimonio in affitto privato, pilastro dell'offerta in molti Paesi.
Il problema abitativo risulta, quindi, un bisogno in gran parte insoddisfatto per una quota crescente di popolazione, un diritto la cui esigibilità riguarda una platea sempre più ampia. È indispensabile una risposta sociale, con politiche adeguate, orientate verso i segmenti di popolazione in maggiore difficoltà economica.
In riferimento alle misure messe in campo dal Governo negli ultimi anni, abbiamo assistito a proposte volte ad affrontare il degrado urbano, ma senza specifiche connotazioni in relazione al settore abitativo. Il Piano Città, avviato nel 2012 dal primo decreto sviluppo, dedicato alla rigenerazione delle aree urbane degradate, prevedeva un cofinanziamento nazionale di 318 milioni di euro per un investimento complessivo stimato allora in 4,4 miliardi di euro, tra fondi pubblici e privati.
Secondo le informazioni di cui disponiamo, le erogazioni statali pare ammontino ad una quota irrisoria degli stanziamenti previsti, poco più di 20 milioni di euro ed il Piano non ha quindi prodotto i risultati annunciati.
Il Piano per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate previsto dalla legge di stabilità 2015 aveva una dotazione iniziale di circa 200 milioni di euro. La conseguenza evidente della difficoltà di gestione di un programma con una forte complessità (il bando era rivolto a tutti i comuni, senza distinzione territoriale o dimensionale, ammettendo proposte tra le più generiche, da riscontrare in una griglia di particolare difficoltà interpretativa), è che gli stanziamenti sono stati dimezzati.
Il Piano per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie, previsto dalla legge di stabilità 2016, con dotazione di 500 milioni di euro, ha visto aumentare la dotazione a 2,1 miliardi di euro, per finanziare tutte le proposte presentate. Un'attenzione condivisibile nei confronti di un tema che è tornato nell'agenda del Governo e che sembra riprendere un impegno sulle politiche urbane, trascurato rispetto alla complessità che oggi si riscontra e la cui urgenza è sotto gli occhi di tutti. Il Milleproroghe 2018, tuttavia, ha bloccato gli stanziamenti per 96 città, ed ora si attende, a fronte di un accordo raggiunto con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, l'annunciato ripristino degli stanziamenti.
Per tutte queste iniziative, quello che si rileva è la necessità di superare i limiti di programmi simili che, a partire dagli anni Ottanta, in gran parte, hanno scontato incertezza di finanziamenti, procedure ogni volta differenziate dai programmi precedenti, lunghezza dei tempi attuativi. Ma al di là di queste carenze, l'inefficacia è stata soprattutto dettata dalla mancanza di una strategia complessiva. Ciò che si ritiene fondamentale è il superamento di programmi, interventi e stanziamenti una tantum. Si dovrebbe, al contrario, mettere a regime un programma pluriennale con finanziamenti e modalità di funzionamento tali da recuperare quanto di positivo è emerso nei precedenti programmi, in modo da creare un sistema condiviso che non costringa gli enti locali a interpretazioni ed a messe a punto di proposte diversificate in funzione della diversità degli obiettivi proposti.
Per l'edilizia residenziale pubblica il problema principale si identifica con la necessità di ristabilire un capitolo nel bilancio statale destinato al settore, al fine di consentire un rilancio della stessa, attraverso una collaudata programmazione.
Lo Stato, infatti, senza essere mai stato esonerato da un impegno finanziario nel settore, né dalla vigente legislazione, né dalle interpretazioni della Corte costituzionale, che ne ha confermato la responsabilità in concorrenza con le regioni, dal 1998, anno di chiusura dei fondi gestione per le case dei lavoratori (GESCAL), si è sottratto a finanziare il settore pubblico, con un comportamento che disattende il titolo V della Costituzione laddove (articolo 117) si afferma che lo Stato « ha legislazione esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale », tra i quali, pur non citandola espressamente, rientra certamente l'abitazione come una componente essenziale.
In relazione alle risorse, fondi possono derivare dalla lotta all'evasione, per la quale si rende indispensabile la detrazione dei canoni pagati dagli inquilini (per produrre un reale conflitto di interessi tale da far emergere il « nero ») ed azioni di contrasto attuate da Agenzia delle entrate e amministrazioni locali, titolari dell'accesso alla banca dati del catasto.
I depositi cauzionali relativi ai contratti di locazione, attualmente congelati dal locatore presso le banche, potrebbero alimentare un fondo di rotazione per la realizzazione di alloggi in locazione agevolata, insieme a cofinanziamenti di Stati, regioni e comuni.
Alcune misure fiscali possono concorrere al reperimento di ulteriori finanziamenti, come ad esempio il gettito aggiuntivo alle previsioni di bilancio derivante dal ripristino della tassazione IRPEF sui contratti di locazione a canale libero.
Tema non secondario è la condizione di criticità che vivono gli ex IACP e la necessità che si pone di prevedere una legge quadro (o di princìpi) sulla materia, avente l'obiettivo di restituire regole omogenee da applicare a tutti gli istituti (con riferimento alla composita legislazione vigente nelle diverse regioni, in taluni casi sono assimilati ad enti non economici ed in altri ad enti economici; alcune regioni hanno trasferito ai comuni o ad associazioni di comuni la competenza in materia) e di definire l'attribuzione dei compiti di carattere assistenziale.
Se per l'edilizia pubblica il problema principale si identifica con la necessità di ristabilire un capitolo nel bilancio statale destinato al settore, per l'edilizia sociale è necessario configurare un quadro normativo idoneo e fare chiarezza rispetto all'ambiguità oggi presente sui caratteri che devono contraddistinguerla. Questa, infatti, si ritrova sempre più frequentemente nei provvedimenti legislativi emanati di recente, ma vi è convergenza solo nel dato che l'edilizia residenziale sociale debba identificarsi come un segmento della produzione edilizia che si proponga nel mercato per un periodo di tempo in genere definito e con valori dei canoni inferiori. Gli altri parametri che dovrebbero fornire certezza che ciò avvenga in modo programmato e programmabile dagli enti locali (chi sono i promotori, quale l'utenza, come definire i canoni) restano incerti.
Se si ritiene che l'edilizia sociale possa attenuare il disagio abitativo per una vasta fascia di popolazione e che contribuire a calmierare i valori dei canoni di un segmento dell'offerta decisamente asfittico, occorre stabilire principi che sgombrino il campo da possibili equivoci.
È necessario, preliminarmente, precisare che l'edilizia sociale non sostituisce, ma integra l'edilizia pubblica, e che deve configurarsi con un'articolazione variegata, essendo destinata ad una larga fascia di nuclei familiari collocata tra i potenziali beneficiari dell'edilizia residenziale pubblica e quelli in condizione di accedere al libero mercato.
Conseguentemente, gli elementi che qualificano l'edilizia sociale, sono così sintetizzabili:
- è tale se permane nel mercato delle locazioni a tempo indeterminato o comunque per una durata significativamente lunga: periodi limitati non risultano significativi a perseguire l'obiettivo di incrementare il comparto dell'affitto a prezzi calmierati configurando, di fatto, una forma di locazione con patto di futura vendita;
- è realizzata da operatori pubblici (ex IACP o agenzie comunali), operatori privati, cooperative, soggetti no profit;
- deve essere gestita da soggetti istituiti con questa specifica finalità;
- è riservata ad una utenza per la quale va accertato il possesso di alcuni requisiti sia soggettivi (composizione familiare, reddito, eccetera) che oggettivi (procedura di sfratto, eccetera);
- è abbinata a modalità selettive cui è preposto e garante il comune, che può prevedere di riservarne quota parte in favore di particolari categorie (residenti in abitazioni ex IACP con redditi superiori a quelli di legge, anziani, residenti in immobili da rigenerare, eccetera);
- deve essere immessa nel mercato delle locazioni con canoni possibilmente differenziati e comunque non superiori al canone concordato (legge n. 431 del 1998) ridotto applicando una predeterminata percentuale;
- deve consentire periodi di permanenza crescenti nel comparto della locazione e riduzioni progressive dei canoni in relazione ai benefici, finanziari o di altra natura, ricevuti da parte pubblica;
- deve essere realizzata conformandosi ai criteri della bioarchitettura e perseguendo l'obiettivo del massimo risparmio energetico;
- deve essere realizzata in ambienti urbani strutturati e dotati dei servizi necessari e deve risultare componente non secondaria nei processi di rigenerazione urbana, in assenza della quale la trasformazione urbanistica si identifica come mera operazione immobiliare.

Il disegno di legge intende contribuire a delineare una possibile risposta sulla praticabilità di un intervento nel settore dell'edilizia residenziale pubblica e dell'edilizia residenziale sociale.
Si rifà ai precedenti elementi e formula indicazioni sugli obiettivi del piano, che si propone decennale. Si esprime anche sui princìpi cui devono ispirarsi le legislazioni regionali e sulle modalità di reperimento delle aree da destinare al comparto, in modo da incidere in maniera contenuta sui costi finali. Altre indicazioni riguardano: la determinazione dei canoni ed i beneficiari degli alloggi, gli operatori ed i soggetti gestori, le caratteristiche tecniche degli edifici e delle abitazioni.
Una considerazione rilevante riguarda le risorse, per le quali si rendono necessari più canali di finanziamento. Del tutto motivata appare la possibilità di attivare un capitolo di bilancio specifico destinato a questo scopo. Nella proposta si è inoltre ritenuto che una ulteriore modalità di reperimento di fondi possa essere quella di accantonare una quota percentuale degli stanziamenti destinati alle « grandi opere », nella convinzione che le risorse pubbliche debbano anche, e non in modo marginale, interessare interventi riguardanti la manutenzione del territorio ed interventi aventi una specifica finalità sociale.
Già oggi per la realizzazione delle grandi infrastrutture di carattere nazionale sono previsti, nell'ambito del costo dell'appalto, finanziamenti per le opere compensative tra le quali, riteniamo, possono entrare a pieno titolo anche quelle attinenti all'edilizia sociale. Gli accantonamenti attualmente variano dall'1 per cento all'1,5 per cento dell'opera messa a gara. Riteniamo compatibile portare tale percentuale al 4 per cento, non sottraendo risorse alla realizzazione delle opere, ma attraverso razionalizzazione ed efficienza nella realizzazione, riservarne la metà all'edilizia sociale.
Altra forma di finanziamento potrebbe essere l'utilizzo delle economie di spesa: quando una infrastruttura va in gara, i candidati all'aggiudicazione dell'appalto propongono dei ribassi rispetto ai costi dell'opera stessa (secondo i dati dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nel 2012 in Italia per le grandi infrastrutture di importo superiore a 150.000 euro, sono state poste in gara circa 4 miliardi di euro: la media dei ribassi praticata è stata circa il 27 per cento): la quota di ribasso potrebbe andare ad un fondo compensativo sulla mancata applicazione contrattuale e per il 50 per cento ad interventi di edilizia residenziale sociale.
Con l'insieme di questi due provvedimenti anche considerando oscillazioni dovute agli stanziamenti annuali, si possono ipotizzare circa 600 milioni di euro annui destinati all'edilizia residenziale sociale.

Testo del Disegno di Legge (file PDF).

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