La disperazione non è una colpa

Articolo pubblicato su Huffington Post, su Rivista Africa e su Quotidiano Sociale.

Il tema dell’immigrazione è stato da sempre una priorità per le forze politiche che oggi governano il Paese.
Di fronte ad un fenomeno epocale che porta con sé problemi e alimenta paure, la destra ha spiegato che l’avrebbe contrastato con blocchi navali inattuabili e interventi mirati a far capire alle persone in fuga da guerre, dittature e fame che da noi vivrebbero male.
Oggi che quelle forze sono al governo sono costrette a misurarsi con un fenomeno che, data la collocazione geografica del nostro Paese, non è possibile cancellare ma va governato.

In questi mesi gli sbarchi sono quadruplicati rispetto agli anni scorsi e il Governo Meloni ha dimostrato di essere impreparato e di essere condizionato dalla necessità di non rinunciare alle inutili parole d’ordine della propaganda contro gli immigrati.
Se mettiamo in fila i provvedimenti assunti dall’esecutivo in questi mesi, risulta evidente la confusione e la loro inutilità.
Il Governo ha per prima cosa, con un decreto, reso più difficile il lavoro di salvataggio in mare delle ONG, imponendo loro di intervenire solo una volta in soccorso in mare per poi dover sbarcare i naufraghi in porti sempre più lontani dalle zone di intervento, decisi dal Ministero degli Interni.
Un provvedimento, questo, che voleva colpire le ONG, come se avessero loro la responsabilità delle partenze dalle coste africane e alimentando il sospetto di loro connivenze con gli scafisti.
L’aumento degli sbarchi in questi mesi basta a confermare quanto sia sbagliato e inutile quell’intervento.
Ma il più recente decreto che, paradossalmente, porta il nome di Cutro, del luogo della tragedia più recente in cui hanno perso la vita decine di persone in fuga soprattutto dall’Afghanistan, è addirittura dannoso.
Togliere, come si fa in quel provvedimento, la protezione speciale a persone che sono riconosciute in difficoltà per ragioni di salute e perché discriminate nei Paesi da cui fuggono significa, di fronte al moltiplicarsi degli arrivi, aumentare il numero degli irregolari, condannare all’illegalità e alla clandestinità chi potrebbe essere riconosciuto e integrato.
Quarantamila persone (il dato è del capogruppo della Lega al Senato), che grazie alla protezione speciale vivono e spesso lavorano legalmente in Italia, diventeranno grazie a quel decreto clandestini.
È evidente che un provvedimento come questo rappresenta il contrario di ciò che serve, anche per evitare che disperazione e clandestinità producano nuova manovalanza per la criminalità e nuovi ghetti che pesano sulle nostre città e sulla vita delle nostre comunità.
L’idea che provvedimenti come questo coincidano con una maggiore possibilità di rimpatriare gli immigrati irregolari non è reale: i rimpatri continuano ad essere pochissimi perché sono pochi i Paesi di provenienza disponibili.
L’ultima trovata del Governo è stata la dichiarazione dello “stato di emergenza” per l’immigrazione.
Siamo di fronte ad un fenomeno che è tutt’altro che una emergenza ma che va affrontato per quello che è, cioè una realtà con cui dovremo fare i conti per molto tempo.
Sia chiaro, non si tratta di accogliere tutti ma di governare l’immigrazione, sapendo che solo in una dimensione europea è possibile farvi fronte, che l’Italia e gli altri Paesi di approdo non devono essere lasciati soli e che è necessario aiutare lo sviluppo dei Paesi africani per intervenire sulle cause stesse del fenomeno.
Ma è sbagliata l’idea che il tema si possa affrontare alimentando le paure e colpendo le persone che migrano, come se la disperazione fosse una colpa.

 

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