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Referendum Giustizia: tra tecnicismi e riforme

Intervento svolto ad un incontro a Desio (video).

Ringrazio il PD di Desio per aver organizzato l’incontro.
Il PD non voleva i referendum sulla Giustizia, li considerava sbagliati e pericolosi eppure stiamo facendo molti momenti di incontro per spiegare i quesiti e la nostra posizione.
I promotori di questi referendum non hanno neanche preso gli spazi sui tabelloni elettorali e non pubblicano i manifesti. Questo dice molto su quanto sia stata strumentale e tutta politica la scelta di indire i referendum.

Si è cercato di occuparsi di Giustizia rianimando una guerra trentennale che c’è nel Paese su questo tema tra magistrati contro avvocati e contro politici, pseudogarantisti contro pseudogiustizialisti.
Questo conflitto protratto negli anni ha portato ad aggravare i problemi della Giustizia e a non fare alcuna riforma, chiunque abbia governato. L’indizione di questi referendum, quindi, è tutta propagandistica e magari puntava sul traino di altri referendum popolari, come quello sul suicidio assistito o sulla liberalizzazione della cannabis che, però, sono stati esclusi dalla Corte Costituzionale.
Ascoltando le poche occasioni in cui parlano i promotori di questi referendum, che ormai non si capisce neanche più chi siano, invitano a votare sì perché bisogna cambiare la Giustizia.
Il problema è che la Giustizia non si cambia con i referendum.
Fin dall’inizio, io penso che questi referendum siano inutili e dannosi in quanto arrivano nel momento in cui, per la prima volta le riforme sulla Giustizia si stanno facendo, perché c’è un Governo di larghe intese, perché dobbiamo ottenere le risorse del PNRR che sono vincolati alle riforme. Il PNRR non mette a disposizione le risorse per Paesi che poi sono bloccati e non riescono ad usarle. C’è stata anche l’occasione di questa maggioranza di Governo larga e ci si è messi a fare le riforme.
Le riforme si stanno facendo non guardando alla guerra infinita tra magistratura e politica ma guardando ai problemi della Giustizia in rapporto ai cittadini.
Al di là degli scioperi di magistrati e avvocati, bisognava capire quali sono i problemi veri della Giustizia italiana.
In Italia i processi civili durano tantissimo tempo e, per un’azienda o un investitore pensare di venire qui, diventa sempre più difficile se ha la certezza che, se entra in un contenzioso civile, rischia di non uscirne più.
Allo stesso modo è per i tempi del processo penale.
In Parlamento ci siamo concentrati su questo.
Nessuno ne parla ma, in questo anno, abbiamo fatto la riforma del processo civile, velocizzando i tempi dei processi, incentivando (anche economicamente) forme di soluzione dei conflitti esterne ai processi come la mediazione, il patteggiamento o altro per sgravare il carico sui tribunali.
Abbiamo costruito un percorso che può raggiungere l’obiettivo di ridurre del 40% i tempi dei processi, come richiesto dall’Europa. Allo stesso modo, sul processo penale abbiamo definito fasi certe, a garanzia dei tempi dei processi nell’interesse degli imputati e delle vittime.
Tutte le chiacchiere sul quesito riguardante la custodia cautelare non tengono conto del fatto che in questi mesi, con la riforma del processo penale che abbiamo fatto - e grazie al lavoro del PD - abbiamo affermato il principio che il carcere deve essere utilizzato come estrema ratio e bisogna pensare ad un sistema in cui le pene, per i reati minori, possano essere date con misure alternative (braccialetto elettronico, arresti domiciliari, messa in prova). Abbiamo previsto, quindi, una serie di alternative al carcere così che, oltretutto, si possa restituire alla pena quella dimensione rieducativa che la Costituzione attribuisce.
Abbiamo fatto, inoltre, una legge sulla presunzione di innocenza per evitare che vengano messi gli indagati in prima pagina sui giornali.
Grazie ad un emendamento del PD, infatti, oggi i Pubblici Ministeri che, a inizio indagine, vogliono fare una conferenza stampa devono motivarlo ampiamente e ottenere prima il permesso del Procuratore Generale. Il risultato è visibile già oggi e il problema si è molto ridimensionato.
Stiamo, dunque, facendo le riforme: passi concreti di cui il Paese ha bisogno.
Il Paese, invece, non ha bisogno di un referendum abrogativo che ci riporta indietro senza risolvere niente.
Il PD ha detto fin dall’inizio che avrebbe votato No ai quesiti riguardanti l’abrogazione della Legge Severino e l’abrogazione delle misure cautelari per chi può reiterare i reati di cui è accusato.
La Legge Severino penso che sia utile e di civiltà in questo Paese. In altri Paesi, se un Ministro non paga l’autostrada o dimentica uno scontrino, si dimette per ragioni di opportunità. In Italia questo non succede neanche su reati ben più gravi.
La Legge Severino è un procedimento amministrativo secondo cui, chi viene condannato per una serie di reati gravi contro il patrimonio, non si può più candidare per un certo periodo e deve lasciare gli incarichi nelle istituzioni se è già eletto.
La legge sicuramente non è perfetta: uno dei problemi riguarda il fatto che un amministratore comunale, se viene condannato in primo grado, ha una sospensione dal ruolo immediata di 18 mesi. Questo meccanismo andrebbe cambiato: un anno fa, il PD ha depositato una proposta di legge per cambiarlo e fare in modo che la decadenza avvenga a condanna definitiva e non dopo il primo grado. Chi ha proposto il referendum, però, non ha voluto approvare la modifica prima; ci auguriamo che si possa fare dopo.
Il referendum, però, mira a cancellare tutta la Legge Severino non correggerla o eliminarne una parte.
Io credo che dobbiamo, invece, dare un segnale al Paese che dobbiamo lasciare fuori dalle istituzioni chi commette reati gravi, contro il patrimonio, contro la collettività e di mafia.
Il quesito riguardante la cancellazione della possibilità per i giudici di applicare le misure cautelari a chi rischia di ripetere lo stesso reato di cui è accusato, viene venduto come se fosse l’eliminazione della carcerazione preventiva.
È vero che in Italia si fa un eccessivo utilizzo della carcerazione preventiva: ci sono troppe persone che vengono tenute in carcere prima di avere il processo e prima di essere condannate.
Il quesito referendario, però, mira a togliere tutte le misure cautelari per il rischio di reiterazione del reato. Resterebbero le misure cautelari per il rischio di manipolazione delle prove, per il pericolo di fuga, per i reati violenti.
È vero che il rischio di reiterazione del reato è il motivo più utilizzato per applicare le misure cautelari ma quella norma è a difesa delle vittime e della sicurezza pubblica.
L’effetto è che, gli stalker ad esempio, se insultano le loro vittime a poca distanza dopo che erano già stati denunciati, vengono portati in questura e scattano immediatamente le misure cautelari (come ad esempio il divieto di avvicinamento o il braccialetto elettronico o altro, a seconda della gravità dei casi) ma, se vincesse il Sì al quesito per la cancellazione delle misure cautelari, queste misure non si potrebbero più applicare.
Lo stesso vale per le truffe seriali agli anziani o altri reati.
Misure cautelari non sono solo il carcere.
Che questo referendum venga proposto dalla Lega, dopo anni che invocano il carcere duro, il chiudere dentro le persone e buttare via le chiavi, la legittima difesa sempre, è ridicolo e contraddittorio.
Fratelli d’Italia su questi due referendum, coerentemente con quanto ha dichiarato in tutti questi anni, invita a votare No.
Gli altri tre quesiti, invece, diventano dannosi adesso.
Nel percorso delle riforme che abbiamo avviato in Parlamento, infatti, dopo aver già approvato la riforma del processo penale e quella del processo civile, mancano da concludere alcuni passaggi: stiamo facendo la riforma del processo tributario e la riforma dell’ordinamento giudiziario, che contiene anche le norme riguardanti il CSM.
Sono riforme necessarie, anche al di là degli scandali emersi con il caso Palamara.
Su questi temi si è lavorato anche prima di questo Governo e si è arrivati ad un testo condiviso e votato da tutti, eccetto che Italia Viva e con l’astensione di Fratelli d’Italia alla Camera dei Deputati.
Il testo è in calendario al Senato per il 16 giugno, perché abbiamo accettato di lasciar prima votare i referendum.
Non si tratta di una riforma controversa ma di un testo che è un punto di equilibrio tra le forze politiche.
Votare sì ai tre quesiti referendari sull’ordinamento giudiziario può portare al rischio di dover riaprire tutto sulla base di quesiti che evocano alcune delle questioni, come la separazione delle carriere e le correnti del CSM, ma che non le risolvono (in quanto si tratta sempre di referendum puramente abrogativi).
La riforma, invece, affronta in modo approfondito la questione delle porte girevoli tra politica e magistratura (chi rientra non può avere il ruolo che aveva prima), limita a uno la possibilità di passaggio dalla funzione inquirente o giudicante da scegliere nell’arco dei primi 10 anni, mette mano al sistema elettorale del CSM e anche al funzionamento del CSM (aumentando il numero dei membri togati del CSM per fare in modo che i componenti della Commissione Disciplinare si occupino solo di quello, per evitare situazioni non trasparenti).
Rispetto alla separazione delle funzioni dei magistrati, oggi spesso accade che chi vince il concorso in magistratura tende ad accettare ciò che gli viene offerto senza badare troppo a ciò che vorrebbe; sono poi consentiti fino a 4 passaggi e, quindi, non c’è un gran problema. In ogni caso, la riforma limita a una sola possibilità di cambiare ruolo.
La riforma, inoltre, dà più peso alle Camere Penali e ai Consigli Giudiziari nella valutazione dei magistrati. Viene anche introdotto il fascicolo del magistrato in cui c’è tutta la memoria dell’attività del magistrato per agevolare le valutazioni.
Questi quesiti, quindi, in questo momento possono fare danni ad un percorso riformatore che è stato utile, importante e che dobbiamo portare a conclusione.
Oggi, i sostenitori del Sì stanno cominciando a dire che, anche se non verrà raggiunto il quorum, bisognerà tenere con del risultato. Se il referendum vedrà una prevalenza dei No oppure un fallimento del referendum stesso, si riuscirà a completare la riforma, altrimenti si rischia di dover riaprire la discussione.

Video dell’intervento»

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