Sulla Giustizia servono riforme, non referendum
Intervento a Pratocentenaro (video).
Come PD stiamo facendo diversi incontri sul tema del referendum, sia come momento di riflessione ma anche per spiegare la nostra posizione.
Sento molte polemiche in giro da parte dei proponenti dei referendum che, però, non hanno neanche preso gli spazi elettorali sui tabelloni e non stanno organizzando nemmeno incontri.
Cercherò di inquadrare questa vicenda.
Innanzitutto non penso che i referendum siano il modo giusto per affrontare il tema della Giustizia nel nostro Paese.
Il nostro Paese ha bisogno di riforme. Sicuramente la Giustizia italiana non funziona e necessita di riforme ma non possiamo ritornare indietro ad una discussione tutta ideologica, che di fatto il referendum spinge, alimentando una guerra trentennale in cui si contrappone la magistratura alla politica, gli avvocati alla magistratura, gli pseudogiustizialisti agli pseudogarantisti. Gli stessi promotori dei referendum, invece che spiegare nel merito i quesiti, dicono di votare Sì per cambiare. In realtà, in trent’anni di questi proclami e di questa battaglia ideologica da tutte le parti non si è mai risolto il problema della Giustizia.
Il paradosso è che questi referendum vengono promossi nel momento in cui ci sono le condizioni per fare davvero le riforme della Giustizia perché c’è una maggioranza molto ampia che sostiene il Governo, perché il PNRR stabilisce che il nostro Paese, per ricevere i fondi europei, debba fare delle riforme strutturali per risolvere alcuni problemi patologici, tra cui quelli della Giustizia.
Tutto questo, negli ultimi mesi, ha portato a fare riforme molto importanti, di cui non si parla mai ma sono quelle che riguardano di più i cittadini.
In Italia c’è un problema drammatico che riguarda i tempi della Giustizia. Per avere risposte e sentenze nell’ambito civile e penale ci sono tempi lunghi, c’è un grande arretrato. Questo non incentiva chi vuole investire in Italia perché per risolvere i contenziosi ci vogliono molti anni e ci sono tante difficoltà.
In questi ultimi mesi, abbiamo fatto una riforma importante del processo civile, facendo in modo che i tempi del processo vengano ristretti, facendo in modo che gran parte delle controversie civili non entrino nel circuito giudiziario ma vengano risolte in altro modo con la mediazione, il patteggiamento e altre prassi.
Nello stesso modo abbiamo fatto una riforma del processo penale che finalmente definisce tempi certi, anche per l’appello e, esclusi i reati di mafia e terrorismo dove ci possono essere proroghe per i tempi, tutto il resto ha tempi definiti e vengono ridotte anche le possibilità per i PM di fare ricorso.
Uno degli argomenti sbandierati spesso da chi dice che la Giustizia in Italia non funziona è il fatto che c’è un eccesso dell’utilizzo della carcerazione preventiva. È un problema vero ma non si risolve con i referendum. Grazie al PD, però, nella riforma del processo penale, il carcere diventa meno l’unica forma di punizione e diventa l’estrema ratio: infatti, si incentivano tutte le pene alternative come la messa alla prova, gli arresti domiciliari con i braccialetti elettronici, la giustizia riparativa.
Abbiamo fatto, quindi, due riforme importanti e ne stiamo facendo una terza dal punto di vista processuale, che è la riforma del processo tributario, anche questa richiesta per avere le risorse del PNRR.
Inoltre, abbiamo fatto una serie di interventi che vanno nella direzione di risolvere e non sbandierare una serie di questioni vere.
Ci siamo lamentati spesso in questi anni dell’eccesso di comunicazione delle Procure che portano a far finire in prima pagina persone che poi magari non vengono neanche rinviate a giudizio.
Abbiamo recentemente approvato un Decreto sulla presunzione di innocenza per cui, grazie ad un emendamento del PD, a inizio indagine un PM che vuole fare una conferenza stampa deve motivarlo ampiamente e avere un’autorizzazione del Procuratore Generale. Questo riduce la spettacolarizzazione delle inchieste che ha fatto male soprattutto alla Giustizia e alla magistratura nell’arco degli anni.
Questi referendum sono sbagliati. È sbagliata l’idea di affrontare in questo modo i problemi della Giustizia.
Sono quesiti quasi incomprensibili per i cittadini.
Non si affrontano così i temi della Giustizia.
Noi ci siamo messi sul fronte di quelli che, sfruttando l’occasione di questa contingenza storica, si sono impegnati a dare una mano alla Ministra Cartabia per fare le riforme in Parlamento.
I referendum comunque ci sono. Come PD abbiamo fatto due Direzioni Nazionali su questi temi.
All’inizio abbiamo detto subito che avremmo votato contro il referendum sull’abrogazione della Legge Severino e quello sulla cancellazione della possibilità di utilizzo delle misure cautelari per il rischio di reiterazione del reato.
Sono quesiti sbagliati e dannosi.
La Legge Severino è una legge amministrativa che stabilisce che chi è condannato per una serie di reati contro il patrimonio, contro la Pubblica Amministrazione e per mafia e terrorismo non può stare nelle istituzioni e candidarsi.
Nel nostro Paese, c’è sempre stata la possibilità da parte dei magistrati di stabilire anche l’interdizione dai pubblici uffici ai condannati, però la Legge Severino lo fa con un automatismo e dà anche il segnale che nelle istituzioni non ci devono stare persone condannate.
Non ci sarebbe bisogno di una legge così in altri Paesi in cui basta poco perché un politico si dimetta anche solo per ragioni di opportunità. In Italia questo non succede e dobbiamo dire con chiarezza che chi sta nelle istituzioni non può essere un condannato anche perché questo mina la credibilità sua e delle istituzioni stesse.
La Legge Severino ha il problema che per gli amministratori scatta la sospensione dal ruolo già con la condanna in primo grado. Sarebbe corretto, invece, che la sospensione arrivasse dopo la condanna definitiva.
Per questo, mesi fa, abbiamo proposto una modifica alla Legge Severino e i promotori del referendum non hanno voluto portarla avanti per arrivare a far votare il quesito.
Il quesito referendario, però, è un’altra cosa: cancella tutta la Legge Severino, non solo una parte e non è una proposta di modifica.
Rischierebbe, quindi, di passare il messaggio che i mafiosi si possono candidare nelle istituzioni.
Un altro quesito riguarda la questione delle misure cautelari. Si tratta di misure che vengono emesse prima del processo quando per l’indagato c’è il pericolo di inquinamento delle prove, il pericolo di fuga o il rischio di reiterazione del reato.
Il referendum propone di togliere la reiterazione del reato per l’assegnazione delle misure cautelari. Questo è un tema che non riguarda i crimini violenti, a mano armata, di mafia ma riguarda molti altri crimini come le truffe agli anziani, lo spaccio. Le misure cautelari prese per evitare la reiterazione del reato servono a tutelare la collettività molto più che altro.
Non è un referendum che risolve il problema della carcerazione preventiva.
Il referendum abolisce tutte le misure cautelari, non solo la custodia in carcere e questo creerebbe problemi, anche rispetto alla violenza sulle donne, che spesso non viene impedita nonostante le misure vigenti.
Ci sono poi i tre referendum su cui nell’ultima Direzione Nazionale del PD abbiamo deciso di votare contro perché intervengono sull’ordinamento giudiziario, su questioni apparentemente marginali, che richiamano questioni più ideologiche ma in realtà i quesiti in sé dicono poco.
La riforma Cartabia sull’ordinamento giudiziario è già stata approvata alla Camera dei Deputati da tutta la maggioranza escluso Italia Viva e il 16 giugno dovrà essere approvata in Senato. Questa riforma interviene su tutti quei temi con soluzioni concrete.
Il rischio, quindi, è che una vittoria del Sì a quei tre quesiti possa riaprire una discussione che in Parlamento stiamo facendo da due anni e che ora aveva trovato una soluzione equilibrata e con cui si stava completando il quadro delle riforme.
Uno dei quesiti riguarda la separazione delle funzioni in magistratura: vuole richiamare alla separazione delle carriere ma questo non è possibile perché servirebbe una riforma costituzionale, in quanto è la Costituzione che prevede che inquirenti e giudicanti stiano nella stessa giurisdizione e siano entrambi governati dal CSM.
Si tratta, quindi, della possibilità per i magistrati di passare dalla funzione inquirente a quella giudicante.
Oggi, per legge, questo passaggio può avvenire quattro volte nell’arco di una carriera, mentre la riforma Cartabia prevede un solo passaggio da compiere entro i primi 10 anni di servizio.
I passaggi di funzione oggi avvengono pochissime volte: nell’ultimo anno sono stati 25 i magistrati che hanno cambiato funzione in tutto il Paese.
Il referendum cancella completamente la possibilità di cambiare funzione per i magistrati.
La riforma Cartabia trova un punto di equilibrio rispetto alle esigenze in campo.
La prima assegnazione per un magistrato che vince il concorso, infatti, si sceglie sulla base di molti fattori - ad esempio qual è la sede in cui si può andare - e dare la possibilità di cambiare funzione entro i primi 10 anni, a me pare una scelta giusta e di equilibrio.
C’è poi il quesito che cancella le firme necessarie per un magistrato per candidarsi al CSM.
Lo scopo del quesito è quello di restringere il peso delle correnti nel voto per il CSM, anche dopo lo scandalo di Palamara.
Oggi ci vogliono tra 25 e 50 firme per candidarsi.
La riforma Cartabia, però, interviene per modificare il sistema elettorale del CSM e dà più possibilità a soggetti terzi rispetto alle due grandi correnti della magistratura.
Inoltre, la riforma cambia in modo decisivo il funzionamento del CSM: ad esempio, vengono aumentati i membri togati per fare in modo che, chi si occupa della Commissione Disciplinare, faccia solo quello per evitare problemi e conflitti di interessi.
Infine, per la valutazione dei magistrati, c’è un quesito che dice che nei Consigli giudiziari devono avere più peso gli avvocati e i professori universitari.
La riforma Cartabia dà più peso alla Camere Penali ma non introduce i professori mentre introduce il fascicolo dei magistrati in cui è raccolta tutta l’attività e deve fare da base per la valutazione.
Se riusciamo a votare la riforma Cartabia il 16 giugno, facciamo fare un passo importante alla Giustizia nel nostro Paese. Può essere che non sia sufficiente; sicuramente serve investire di più sulla Giustizia e in parte lo abbiamo fatto perché, grazie al PNRR, abbiamo assunto 18mila persone che andranno a costituire gli uffici del processo e affiancheranno i magistrati nel lavoro, sgravandoli di alcune mansioni e consentendo loro di concentrarsi sulle sentenze. Stiamo investendo molto sulla digitalizzazione degli uffici giudiziari, perché la pandemia ha insegnato che molto lavoro può essere accelerato utilizzando meno carta e più tecnologia.
Si sta facendo un buon lavoro e penso che i referendum possano solo fare danni da questo punto di vista, riportando il tutto su una discussione tutta ideologica mentre dobbiamo proseguire sulla strada delle riforme nell’interesse dei cittadini.
Video dell’intervento»