La lotta alle mafie dopo la pandemia
Intervento svolto alla Festa nazionale dell'Unità a Bologna (video).
Penso che sia importante sottolineare il fatto che anche oggi la lotta alla mafia deve restare una priorità.
La mafia spara meno, ha imparato a suscitare un basso allarme sociale ma c’è, è pericolosa e insidiosa e oggi, dopo la pandemia, di fronte alla ripresa economica e alle disponibilità di molte risorse che arriveranno dal PNRR e che produrranno nei prossimi mesi uno sviluppo significativo, le mafie cercheranno di aggredire quei patrimoni.
Da tempo, infatti, le mafie - a fronte del basso allarme sociale - stanno aggredendo l’economia legale. Non si tratta di infiltrarsi ma, creando un problema enorme alla democrazia, stanno cercando di mettere miliardi di euro derivati da traffici illeciti nel circuito dell’economia legale.
Questo vuol dire controllare l’economia e crea anche un problema democratico molto grande.
La dimensione della mafia non è solo nazionale ma è internazionale.
Falcone diceva che bisognava “seguire i soldi” ma anche costruire una relazione con gli altri Paesi per riuscire a verificare le provenienze dei soldi e trovare le spie del malaffare o del riciclaggio.
Trovo, comunque, straordinario ciò che hanno fatto le Procure e gli inquirenti contro le mafie in questi ultimi mesi. Il numero di arresti e di inchieste fatti sia in Italia che all’estero negli ultimi mesi ha detto chiaramente a chi pensava di approfittare di questa fase della pandemia che lo Stato c’è, è presente e non molla: è stato dato un segnale molto forte.
Avevo chiesto al Procuratore Nazionale Antimafia di non aspettare dicembre per fare l’elenco delle operazioni antimafia che sono state fatte perché credo che ci sia anche bisogno di dire a tutti che lo Stato c’è e combatte. Tutti, anche l’opinione pubblica, dobbiamo alzare il livello dell’attenzione per aiutare chi combatte la mafia e che oggi sta dando lezioni al mondo su come si combatte la mafia.
Su questo c’è anche il tema della politica e della legislazione.
Le mafie hanno la straordinaria capacità di cambiare continuamente ambiti di azione, dallo spaccio ai Consigli di Amministrazione, agli studi di commercialisti e trovano le più disparate modalità illegali per fare soldi e riciclare. Su questo, in questi anni, abbiamo provato a informarci, capire e intervenire. Lo abbiamo fatto con la riforma del Codice Antimafia alla fine della scorsa Legislatura; lo abbiamo fatto con alcuni interventi sul sistema carcerario, anche grazie al Procuratore Nazionale Antimafia, Cafiero De Raho, chiarendo che i boss mafiosi non sono detenuti comuni e che serve il parere di chi conosce il fenomeno prima di fare scelte di sconti di pena o di qualunque beneficio.
Oggi siamo impegnati di fronte al post-pandemia. I dati di questi mesi indicano che c’è un’esplosione delle transazioni di immobili destinati ad esercizi commerciali e, quindi, c’è il problema di dotarsi di strumenti per capire cosa succede e dove c’è la criminalità organizzata.
Lo stesso sta succedendo sulle imprese: i dati parlano di qualche decina di migliaia di imprese che negli ultimi mesi sono passate di mano.
C’è anche il problema delle aste giudiziarie. Le tecnologie e le banche dati servono molto per verificare le provenienze dei soldi e intervenire su questi fronti.
Abbiamo ottenuto dal Governo la disponibilità ad introdurre nella riforma del processo civile - dove c’è un articolo dedicato alle aste giudiziarie che avremmo dovuto cambiare anche per altre ragioni - una norma per creare al Ministero una banca dati che raccolga tutte le anagrafiche di coloro che partecipano alle aste giudiziarie sugli immobili.
È evidente che, dando alle Procure la possibilità di accedere alle banche dati, si ha lo strumento per accorgersi prima di episodi come quello del clan di Secondigliano.
Ogni settore sensibile va monitorato e ogni mezzo di prevenzione, prima che di contrasto, va messo in campo.
Credo che abbiamo fatto quello che potevamo fare per mettere in sicurezza i soldi del PNRR, garantendo controlli sufficienti per impedire che vadano nelle mani di aziende vicine alla criminalità organizzata. Stiamo facendo di tutto anche a livello europeo per coinvolgere ogni soggetto nella lotta al riciclaggio.
Dovremo fare anche altro ma queste sono le cose che spettano alla politica.
C’è un pezzo di politica che non si rende conto, anche in buona fede, di quanto la lotta alla mafia sia prioritaria. Il Procuratore Nazionale Antimafia, Cafiero De Raho, raccontava che le mafie acquisiscono società. Noi abbiamo corso il pericolo che, per manie di semplificazione, si scegliesse di consentire la formazione di società a responsabilità limitata per le start up, senza alcun tipo di controllo notarile. Questo avrebbe aperto un varco enorme alle mafie; ce ne siamo accorti ma non è stato semplice spiegarlo.
Dovremo lavorare sulle intercettazioni: è un tema enorme; abbiamo fatto molta fatica a fare quella legge e a trovare un equilibrio tra le diverse esigenze e penso che si possa intervenire ancora, raccogliendo anche la sollecitazione del Procuratore Antimafia.
Il tema di una battaglia globale contro le mafie è importantissimo, così come lo è il fatto che c’è una parte del mondo che non capisce questo dato.
Non stiamo parlando di Paesi come la Colombia. Nella scorsa Legislatura, infatti, siamo andati in Canada con la Commissione Parlamentare Antimafia e abbiamo saputo - non so se è ancora così - che la Banca del Canada aveva una filiale alle Isole Cayman in cui era possibile andare a depositare i soldi e si poteva poi ritirarli in altre città. Questa logica non fa i conti con il tema della legalità.
Il Canada non è l’unico Paese in cui ci sono problemi ma questa vicenda a me apparve eclatante, anche perché già allora, eravamo di fronte ad una fase di crisi ed eravamo in un Paese che, forse anche grazie a questo meccanismo, ha rifatto completamente metà della città di Toronto, mentre nel mondo non si costruiva più niente.
Ci sono state anche altre vicende specifiche, ad esempio l’Olanda per un lungo periodo ha rifiutato qualunque tipo di controllo, proponendosi come il Paese in cui i fondi possono arrivare con l’idea che il Paese potesse in qualche modo beneficiarne e arricchirsi, grazie ai capitali che entravano, trascurando completamente il tema delle mafie.
Il tema della dimensione globale della lotta alla mafia è fondamentale. Il lavoro di interlocuzione tra i Paesi che stanno facendo la Procura Europea, il Procuratore nazionale Antimafia e tanti Procuratori sta producendo risultati.
Negli Stati Uniti, ad esempio, il lavoro che era stato fatto dalla Procura nazionale Antimafia con Pietro Grasso ha prodotto moltissimo e su questi temi c’è una grandissima attenzione e una grandissima sensibilità: ci sono maggiori ripercussioni per chi non fa i controlli sui fondi e sui finanziamenti negli Stati Uniti che da noi.
C’è, quindi, una battaglia da fare.
Sul tema dei beni confiscati abbiamo bisogno di applicare la legge che abbiamo fatto nella scorsa Legislatura. Così non funziona: sono ancora troppi i beni confiscati che non vengono utilizzati; c’è un problema dei Comuni che non sanno quali sono i beni confiscati e cosa devono fare per utilizzarli; c’è un problema serio che si doveva risolvere con alcune assunzioni per fornire all’Agenzia per i beni confiscati delle competenze utili per aiutare a governare le aziende confiscate e siamo troppo in ritardo. Da un anno a questa parte si è bloccata una vicenda che sembrava aver avuto un grande momento di rilancio, con l’apertura di sedi operative dell’Agenzia in giro per l’Italia mentre oggi la situazione non è soddisfacente. La Commissione Antimafia ci sta lavorando e credo che prossimamente dovrà far sentire la propria voce anche in Parlamento, prendendo misure concrete per sbloccare la situazione.
Penso che il tema non sia solo quello di non mettere in lista una persona sospettata di rapporti con la criminalità organizzata. Questo mi pare il minimo: bisogna fare di più.
Sicuramente, bisogna rispettare il Codice Etico.
Bisogna, però, mettere in lista persone che si conoscono perché, al Nord, molte inchieste hanno raccontato di persone inserite in lista alla fine, per caso, suggerite da qualcuno che però non le conosceva e poi si sono rivelate la quinta colonna della ‘ndrangheta.
Questo è avvenuto, ad esempio, in alcuni Comuni sul Lago di Como, dove è stato costruito un rapporto tra la locale ‘ndranghetista e un sindaco che oltretutto combatteva la mafia.
Preferisco vedere delle liste incomplete piuttosto che inserire persone che non si conoscono.
Su questo terreno, il rigore deve essere massimo.
Noi abbiamo inserito nello Statuto del PD l’obbligo della presentazione delle carte che confermino il rispetto del Codice di Autoregolamentazione della Commissione Antimafia, che non è una legge ma che comunque vogliamo applicarlo.
Credo che questo lavoro dobbiamo farlo tutti e non per finta. Lo devono fare i partiti, non va delegato all’antimafia.
Video degli interventi»
Video dell’intero dibattito» con il senatore Franco Mirabelli (Capogruppo PD in Commissione Parlamentare Antimafia), Federico Cafiero De Raho (Procuratore Nazionale Antimafia) e Enza Rando (Vicepresidente Libera), coordinati dalla giornalista Conchita Sannino.
Video della diretta»
Articolo di Repubblica»