Il PD e i referendum sulla Giustizia
Intervento svolto alla videoconferenza organizzata dal PD Lombardia.
La grande partecipazione dimostra che l’incontro riguardante i referendum sulla Giustizia era opportuno per approfondire i temi dei quesiti e fare chiarezza sulla posizione espressa dal PD.
In questi mesi si discute molto sulla Giustizia in Italia che funziona male; si è ridotta la credibilità della Giustizia e anche della stessa magistratura, anche a causa di scandali. Penso, quindi, che dobbiamo partire da qui con il ragionamento e dobbiamo porci la domanda sul che cosa deve fare la politica per ricostruire fiducia nella Giustizia e per fare le riforme che facciano funzionare meglio le cose.
Per arrivare questo risultato, infatti, servono riforme e non un appuntamento referendario, oltretutto promosso da 9 Consigli Regionali a trazione leghista e non dalle firme dei cittadini.
I referendum - basta assistere a qualunque dibattito in questi giorni - sono stati voluti a prescindere dal merito delle questioni, per ritornare su un copione che non ha aiutato la Giustizia italiana in questi anni.
Le responsabilità del non funzionamento della Giustizia in Italia, probabilmente, sono di tutti ma non serve ritornare ad un dibattito tutto ideologico - che dura da molti anni in questo Paese - e che contrappone magistratura e politica e legge tutto dentro l’ottica di garantisti contro giustizialisti.
Questo non è servito negli anni e non serve ora.
Credo che la motivazione che ha dato Letta nella Direzione Nazionale del PD spiegando il perché dei 5 No, - cioè per il fatto che questi 5 referendum possono essere solo dannosi e non portano a nessun vantaggio - sia molto legata a quello che è successo nell’ultimo anno.
Abbiamo avuto l’occasione di questo Governo di larghe intese ma anche di un PNRR che ci ha costretto a mettere mano ad alcuni dei problemi patologici del Paese, tra cui la Giustizia, il mal funzionamento della Giustizia, il tema della mole enorme di arretrati e di tempi lunghissimi per i processi civili e penali.
Su questo bisognava intervenire e l’abbiamo fatto.
Non trovo proprio nessuna ragione per spiegare che la vittoria dei sì sarebbe una svolta epocale.
Penso, invece, che la riforma del processo civile e quella del processo penale approvate dal Parlamento possano cambiare le cose (vedremo poi meglio con i Decreti attuativi) e sono fondate su principi giusti, che cercano di portare i contenziosi fuori dai processi; cercano di ben definire le fasi temporali dei processi sia civili che penali per garantire tempi più rapidi.
A questo si aggiunge la riforma Cartabia sull’ordinamento giudiziario, che è già stata approvata alla Camera dei Deputati.
Si aggiungerà la riforma della Giustizia tributaria, su cui siamo ormai alle ultime battute.
Si sono aggiunte, inoltre, altre riforme importanti.
In tutto questo dibattito ideologico, nessuno ha sottolineato che abbiamo fatto anche altro, tra cui un provvedimento molto importante che riguarda la presunzione di innocenza.
Grazie ad un emendamento PD, da quando è entrato in vigore quel provvedimento, si sono molto ridotte le conferenze stampa dei Pubblici Ministeri che illustrano l’inizio delle loro indagini e che spesso avevano la conseguenza di far finire sulle prime pagine dei giornali persone che erano soltanto indagate: ora, infatti, le conferenze stampa devono essere autorizzate e motivate.
Abbiamo modificato anche il reato di abuso d’ufficio.
Abbiamo messo a disposizione della magistratura - e qui davvero non comprendo lo sciopero della magistratura sulla riforma Cartabia - e del potenziamento degli uffici giudiziari 18mila persone, assunte con i soldi del PNRR, per far funzionare gli uffici del processo e abbiamo messo molte risorse per la digitalizzazione dei tribunali.
Abbiamo fatto, quindi, molte cose.
Di fronte a tutto ciò, anziché valorizzare il lavoro che si è fatto e il tentativo di dare risposte concrete ai problemi della Giustizia, rischiamo di riprecipitare dentro ad un dibattito tutto ideologico che in tutti questi anni non ha portato a niente.
Penso che questo sia un problema, che molti di noi avevano colto all’inizio perché, quando la Ministra Cartabia aveva cominciato ad affrontare il tema delle riforme, la questione dei referendum è apparsa sicuramente come stonata.
Voglio soffermarmi sulla Legge Severino, oggetto di un quesito referendario. C’è una parte di quella legge che andrebbe cambiata e che prevede la sospensione per i sindaci condannati in primo grado. Quella norma è sbagliata e, quasi un anno fa, abbiamo depositato in Senato un disegno di legge per cambiare esattamente quella parte. Tutti erano d’accordo ma, da quando è nata l’idea del referendum, la Lega ha bloccato l’iter del provvedimento perché altrimenti avrebbe vanificato il senso del referendum.
Questo tema comunque lo riprenderemo dopo il referendum, che non credo che possa avere successo.
Un altro quesito, se approvato, toglierebbe la possibilità di mettere in campo tutte misure cautelari - quindi, non solo la custodia cautelare in carcere - nel caso di rischio di reiterazione del reato.
Si evoca sullo sfondo il tema della carcerazione preventiva ma, mentre altri raccontavano di voler chiudere le persone in cella e buttare via le chiavi, lasciando la gente a marcire in carcere, nella riforma del penale noi abbiamo insistito perché il carcere diventasse sempre di più l’estrema ratio nel nostro Paese e che si potessero mettere in campo altre misure come la messa alla prova, gli arresti domiciliari, la giustizia riparativa, cercando di ragionare su un sistema che faccia scontare le pene non necessariamente all’interno del carcere.
Più facciamo dibattiti con i sostenitori del referendum, soprattutto con la Lega, più il tema di votare No anche sugli altri tre quesiti diventa politicamente dirimente e decisivo.
Stanno, infatti, cominciando a spiegare che anche se non si raggiungerà il quorum, comunque bisognerà tenere conto dell’esito del voto nell’approvazione della riforma Cartabia. Questo è stravagante ma l’idea di fondo è che o questi referendum falliscono in maniera netta, chiara e visibile o rischiamo che quando arrivi la discussione in Senato sulla riforma dell’ordinamento giudiziario ci si ritrovi a dover rimettere in discussione un provvedimento che è stato costruito con grande equilibrio, grande fatica e, francamente, sarebbe molto grave se non si portasse in porto, non tanto per il PNRR, anche se questa è una riforma di sfondo a tutto il progetto ma, soprattutto, perché torneremmo di nuovo indietro a una discussione che non aiuta a mettere in campo le misure concrete - questa deve essere la nostra ottica - che servono a migliorare la giustizia, guardando all’interesse dei cittadini.
Le misure cautelari previste per il rischio di reiterazione del reato sono a tutela della sicurezza delle persone.
Se passasse il referendum, non si possono più stabilire, neanche se l’indagato è colto in flagranza di reato.
Certamente è possibile processare l’indagato per direttissima e, a quel punto, il magistrato può imporre le misure di sicurezza ma, se non c’è più il tema della reiterazione del reato, credo che sia evidente che si crea un vulnus.
Si fa presto anche a dire che poi il Parlamento legifererà. In realtà, il referendum vuole abrogare delle cose ma questo non significa che automaticamente ci siano altre norme che suppliscano o migliorino il tema. Questi temi non si prestano al referendum.
Mi pare che il PD ha fatto ciò che doveva fin dall’inizio.
Abbiamo detto da subito che escludevano l’indicazione di non andare a votare e credo che sia giusto arrivare ad avere una posizione molto chiara sui 5 No.
Il PD c’è sempre nelle tribune referendarie a spiegare che siamo per il No.
Facciamo la campagna referendaria informando e dando la nostra indicazione.
Non tocca a noi fare quello che non fanno neanche i promotori del referendum.
È evidente che chi ha promosso il referendum non sta facendo nulla.
La Lega pensava di intestarsi una battaglia sulla Giustizia con questo referendum e doveva avere forza perché questi 5 quesiti, che sono proposti da 9 Consigli Regionali, dovevano poter contare sul trascinamento dei referendum sulla cannabis e sul suicidio assistito, su cui in pochissimi giorni si erano raccolte 2 milioni e mezzo di firme ma che la corte Costituzionale ha bocciato.
Così come era forte il quesito sulla responsabilità civile dei magistrati ma anche quello è stato bocciato dalla Corte Costituzionale.
Bocciati i quesiti forte, ne restano due (misure cautelari e legge Severino) che almeno dai sondaggi pare che i cittadini abbiano capito benissimo e che si prevede comunque che vinca il No, a prescindere dall’affluenza. Poi ci sono tre quesiti molto tecnici riguardanti l’ordinamento giudiziario e sono anche un po’ in disarmonia rispetto al lavoro che sta facendo il Parlamento.
È evidente che tutto questo contesto non porta Salvini a intestarsi ancora quesiti referendari con grande visibilità.
Abbiamo calendarizzato ieri la riforma dell’ordinamento giudiziario per il 15 giugno, contiamo di approvarla il 16 se le cose vanno così.
Se il referendum portasse al successo i tre quesiti che riguardano l’ordinamento giudiziario, dovremo rivedere la legge.
Non credo però che chi ha votato alla Camera dei Deputati quel provvedimento, voterebbe contro al Senato.
Le riforme sul processo civile e penale sono fatte e nelle prossime settimane dovrebbero venire fatti anche i Decreti attuativi e, quindi, anche quelle riforme dovrebbero entrare a pieno regime come sono già a pieno regime le assunzioni, gli uffici del processo e molti progetti di digitalizzazione.