Dopo Aemilia la sfida del Nord alla criminalità organizzata
La lotta alle mafie, alla corruzione e all’illegalità è una priorità per l’Italia, come ha ricordato più volte il Presidente della Repubblica, perché - anche dal punto di vista della competitività della nostra economia - i fenomeni corruttivi e la presenza della criminalità organizzata costituiscono un handicap. Non è un mistero che nel Mezzogiorno la presenza così forte della criminalità organizzata, addirittura soffocante in alcune zone, impedisca lo sviluppo economico, allontani le imprese, renda più difficile creare occupazione e produca di fatto un circolo vizioso perché poi su un territorio in cui non c’è occupazione e la criminalità organizzata, invece, è forte e riesce a garantire un minimo di sopravvivenza, è evidente che questa si rafforza ulteriormente e si indebolisce lo Stato.
In questa legislatura, all’interno della Commissione Antimafia c’è un consistente numero di parlamentari del Nord perché anche in questi territori è cresciuta la consapevolezza di dover contrastare le mafie. Questa consapevolezza è cresciuta grazie alle inchieste, agli studi e alle analisi riguardanti territori in cui fino a poco tempo fa veniva negata la presenza della mafia.
L’attuale Presidente di Regione Lombardia, quando era Ministro degli Interni, negava la presenza della mafia al Nord.
L’altro dato che è emerso è che abbiamo parlato a lungo di infiltrazioni mentre, in realtà, le inchieste riguardanti l’Emilia, il Piemonte e la Lombardia dicono che ci sono degli insediamenti stabili della criminalità organizzata.
Si è anche negata la mafia al Nord spiegando che la criminalità era frutto del disagio sociale e, quindi, non arrivava in questi territori perché qui c’è la ricchezza. In realtà, la mafia può rafforzarsi dove c’è il disagio sociale ma arriva al Nord proprio perché è un territorio ricco.
L’inchiesta Aemilia dimostra che la ‘ndrangheta si insedia in Emilia perché ci sono i soldi, c’è la possibilità di condizionare l’impresa, c’è la possibilità di provare a condizionare l’economia. Non è soltanto una questione che riguarda il riciclaggio: il tema è che la ‘ndrangheta (che è la forza criminale più presente al Nord) vuole controllare l’economia e, attraverso questo, insediarsi in maniera pesante in tutti i gangli della società.
L’obiettivo della ‘ndrangheta, infatti, non è l’arricchimento personale. La stragrande maggioranza dei boss delle locali che sono stati arrestati facevano lavori umili.
La ‘ndrangheta oggi è la più grande organizzazione criminale del mondo, in grado di muovere una quantità ingente di droga e di lucrare su questo. Inoltre, la ‘ndrangheta è fortemente strutturata: le locali presenti sui vari territori del Nord o della Germania, del Canada e dell’Australia trovano una corrispondenza in altrettanti luoghi della casa madre in Calabria e da essi dipendono. L’organizzazione della ‘ndrangheta è verticista e, quando si verificano dei contrasti, le decisioni su come risolverli vengono stabilite in Calabria.
Inoltre, la ‘ndrangheta ha una fortissima base familiare, per cui non c’è solo l’omertà degli imprenditori assoggettati per ragioni di paura o convenienza ma c’è anche la difficoltà che si verifichi un pentimento dei membri dell’organizzazione perché dovrebbero denunciare parenti e questo, ovviamente, rende le cose più difficili.
La ‘ndrangheta poi usa anche la Chiesa, i valori e i simboli religiosi secondo le proprie esigenze.
C’è, quindi, bisogno di uno sforzo collettivo per combattere la ‘ndrangheta: devono farlo le imprese, le associazioni di categoria professionali, la politica ma anche all’interno della Chiesa c’è bisogno che cresca la consapevolezza del fenomeno e della necessità di contrastarlo.
La comunità episcopale calabrese, recentemente, ha fatto un importantissimo documento in cui condanna la ‘ndrangheta ma nulla si può dare per scontato perché non è ancora introiettato il fatto che i criminali sono un problema perché spesso si sente ancora dire che in fondo sono dei fedeli e, quindi, è normale che frequentino la chiesa.
In realtà, ciascuno si deve assumere le proprie responsabilità.
La mafia si può combattere e si può sconfiggere. Questo Paese ha in sé la forza e le capacità, abbiamo la legislazione migliore del mondo per il contrasto alle mafie e abbiamo saputo assestare grandi colpi alla criminalità organizzata.
Nell’ultimo anno e mezzo, in Parlamento, sono stati approvati provvedimenti importanti da questo punto di vista. È stato modificato l’articolo 416ter del Codice Penale per punire il voto di scambio, inteso come voto in cambio di favore.
Fino a che non è stato modificato il 416ter, però, questo non consisteva in un reato perché veniva punito solo il voto in cambio di denaro.
Nei mesi scorsi è stato introdotto il reato di autoriciclaggio.
Sono stati realizzati i protocolli per contrastare le infiltrazioni ‘ndranghetiste nelle imprese e negli appalti delle grandi opere a partire da Expo e, siccome stanno funzionando, quei modelli sono stati riadattati per il post-terremoto in Emilia e verrà riadattato per la ricostruzione a L’Aquila e per il Giubileo di Roma. Con quei protocolli, infatti, si può entrare nei cantieri per effettuare le verifiche, controllare chi lavora e con quali macchinari e hanno consentito di fare 42 interdittive su Expo.
Expo, infatti, purtroppo ha avuto episodi di corruzione che non riguardavano la criminalità organizzata mentre la rete di contrasto alla criminalità organizzata ha funzionato.
Oltretutto, abbiamo istituito l’Autorità Nazionale Anticorruzione che valuta preventivamente gli appalti per evitare le infiltrazioni e sta funzionando. È stata fatta una legge anticorruzione che l’Italia necessitava da tempo perché questo è il Paese con il grado maggiore di corruzione rispetto al resto d’Europa ma poi in galera per questo non ci andava nessuno mentre il carcere, per alcuni soggetti, sarebbe un deterrente efficace. Oggi sono state aumentate le pene e sono stati messi in campo nuovi strumenti anche per l’ANAC.
A breve andrà in discussione in Parlamento un provvedimento su cui ha lavorato la Commissione Antimafia e che è volto a migliorare l’attuale normativa sui beni confiscati e l’Agenzia che deve gestirli perché sono emersi molti limiti in questi anni con le norme vigenti e non possiamo permetterci di confiscare aziende per poi lasciarle chiudere senza che i loro lavoratori abbiano neanche delle alternative.
La legge sulla confisca dei beni, infatti, ha il duplice scopo di combattere la mafia colpendola dove fa più male, cioè dove ci sono i soldi, e poi restituire alla collettività il bene sottratto all’illegalità. Se il risultato della confisca, invece, è che le aziende chiudono e si perdono posti di lavoro, è evidente che è uno smacco per lo Stato.
Stiamo, quindi, lavorando. La politica deve fare molto, deve alzare l’attenzione, avere più capacità di conoscere il fenomeno e di capire i segnali, occorre essere più accorti quando si costruiscono le liste elettorali, dare più trasparenza, saper cogliere gli elementi che possono indicare dove c’è qualcosa che non va. Occorre, però, essere consapevoli di cosa c’è in gioco.
Affermare che ogni volta che succede qualunque cosa c’è di mezzo la mafia, come fa qualche forza politica, e mettere sempre tutto sullo stesso piano non aiuta a capire e a contrastare le mafie.
Spesso, inoltre, si ha l’idea della mafia come l’organizzazione che spara, che ammazza e, quando questo non avviene, si tende a minimizzarne la portata ma è un errore. La ‘ndrangheta ha una capacità forte di condizionare l’economia, la società, la cultura di un Paese e questo può mettere in discussione la nostra democrazia e la nostra libertà.
La battaglia contro le mafie, quindi, va fatta tutti insieme, da ogni pezzo di società. Ognuno deve fare la propria parte.