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La legalità nel quotidiano. L’eredità di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a 30 anni dalle stragi di mafia



Intervento alla Festa della Schiranna - Varese (video). 

Prima di addentrarmi nel tema oggetto del dibattito, vorrei fare alcuni ringraziamenti.
Per me è un dovere essere venuto a Schiranna.
Ringrazio le decine di volontari che fanno vivere le Feste dell’Unità e sono il segno di un partito fatto di persone che gratuitamente spendono il proprio tempo per dare più forza a un partito, nelle battaglie politiche, sociali, culturali.

Credo che le migliaia di feste e i volontari che le fanno vivere siano la testimonianza che sbaglia chi considera la politica come una cosa che riguarda solo il potere, distante dai cittadini e avulsa dalla vita concreta.
Ci sono tante persone che ancora credono negli ideali, nei valori e si impegnano per realizzarli.
Un altro ringraziamento lo faccio per la promozione di questa iniziativa perché credo che bisogna parlare di mafia e di organizzazioni criminali e sono un punto dell’agenda politica del Paese.
Intervenendo in Senato, Draghi ha inserito la lotta alle mafie tra i temi dell’agenda che ha proposto al Parlamento. Credo che abbia fatto bene e l’ho ribadito anche nell’intervento che ho fatto in Aula, perché dobbiamo sapere che la lotta alla mafia e la lotta per la legalità devono essere una priorità per la politica.
Trent’anni fa abbiamo vissuto una stagione drammatica, in cui la mafia ha attaccato direttamente e esplicitamente lo Stato.
Carlo Alberto Dalla Chiesa, tantissimi magistrati, tanti investigatori sono caduti per contrastare le organizzazioni criminali che, in una parte importante del nostro Paese, nel Mezzogiorno si erano radicate e avevano in qualche modo l’ambizione di sostituirsi allo Stato e di sconfiggere lo Stato.
La volontà della mafia di imporsi nei confronti dello Stato si è esplicitata con la stagione stragista.
C’è stata la strage in cui hanno perso la vita Falcone, sua moglie e la sua scorta e la strage in cui ha perso la vita Borsellino.
Falcone e Borsellino erano gli uomini che stavano costruendo le condizioni per sconfiggere la mafia.
Falcone aveva capito che bisognava mettere in campo una struttura nazionale, quale è la Direzione Nazionale Antimafia, che coordinasse il lavoro di tutte le investigazioni contro le mafie.
Falcone aveva capito anche che per sconfiggere le mafie bisognava colpirle dove più faceva soffrire i criminali e cioè sui soldi e sui patrimoni; quindi, il tema era inseguire i soldi. Subito dopo, grazie alla Legge Rognoni - La Torre, si è concretizzato il colpire i patrimoni delle mafie, confiscando i beni e mettendoli poi a disposizione della società.
Falcone e Borsellino sono stati uccisi per questo; perché hanno portato con le loro intuizioni e con il loro lavoro il livello di capacità dello Stato di combattere la mafia più in alto.
Alla stagione stragista, lo Stato ha risposto in maniera forte con la Direzione Nazionale Antimafia, con la legge per confiscare i beni, con un apparato legislativo che ancora oggi il mondo ci invidia (i reati associativi, l’associazione mafiosa) e costruendo una capacità di indagine straordinaria. Abbiamo investigatori e magistrati che sanno combattere la mafia.
Tutto questo è successo anche grazie ad una straordinaria mobilitazione di popolo.
La mafia non l’avremmo sconfitta solo con i magistrati e con le leggi, se quella stagione non avesse portato con sé una rivolta popolare, una straordinaria volontà dell’opinione pubblica di dire No alla mafia, di creare il senso comune che la mafia era il male e che andava combattuta, in Regioni in cui non era considerata così.
In questi anni sono cambiate alcune cose ed è per questo che abbiamo bisogno di iniziative come questa e abbiamo bisogno di ragionare sulle mafie.
Sicuramente, nella stagione stragista la mafia ha aggredito lo Stato e la nostra democrazia.
Oggi siamo di fronte ad un fenomeno mafioso molto più subdolo, che non provoca allarme sociale.
schiranna22072022 2Oggi abbiamo un radicamento delle mafie e in particolare della ‘ndrangheta in tutto il territorio nazionale, anche al Nord.
La Relazione conclusiva dei lavori della Commissione Parlamentare Antimafia della scorsa Legislatura dice che le mafie sono insediate e radicate al Nord ma si vedono poco, vogliono farsi vedere poco, sparano il meno possibile, lavorano per creare meno allarme sociale possibile ma lavorano, ci sono, sono sui territori, cercano di condizionare la politica, la società e, soprattutto, aggrediscono l’economia.
La ‘ndrangheta ha una straordinaria organizzazione che ha a disposizione quantità enormi di denaro proveniente dal traffico di droga, di armi, di persone e altre attività illecite e quei soldi vengono immessi nell’economia legale, aggrediscono l’economia legale.
Se non stiamo attenti, quindi, si rischia che una parte importante dell’economia del nostro Paese venga inquinata dalla ‘ndrangheta e questo vuol dire che una parte importante della nostra democrazia può essere inquinata dalla mafia.
Se non se ne parla, si rischia che tutto questo avvenga senza che ci se ne accorga.
Il PNRR e gli appalti sono cose serie su cui dobbiamo essere in grado di alzare i controlli di legalità.
Questo è fondamentale e non si tratta di allungare i tempi.
Spesso si sente fare il ragionamento secondo cui gli appalti hanno tempi lunghi perché ci sono i controlli antimafia ma non è vero.
Gli appalti hanno bisogno di controlli efficienti e hanno bisogno di centrali appaltanti qualificate, magari in numero minore di quelle che ci sono attualmente perché è fondamentale controllare chi prende gli appalti e chi prende i soldi del PNRR, da dove viene, con quali capitali opera.
Così come è fondamentale che tutte le istituzioni in momenti di crisi come questa si mettano nelle condizioni di verificare tutte le spie che ci possono dire se le mafie sono in campo.
Se ci sono compravendite di negozi o altri esercizi commerciali in modo continuativo bisogna capire chi compra, da dove arrivano i soldi, perché si comprano cose che apparentemente non danno alcun vantaggio economico.
C’è bisogno di sapere che dietro a tutto ciò ci possono essere le mafie.
Le mafie non sparano più non perché siano diventate buone: hanno ancora i loro arsenali, agiscono sempre con i loro metodi.
Gli imprenditori che si rivolgono alla ‘ndrangheta o alla camorra - e sono tanti da queste parti - per chiedere un finanziamento in un momento in cui le banche non li danno o in momenti di crisi, o per chiedere un recupero crediti, poi vengono espropriati dei loro beni dalle organizzazioni criminali.
La criminalità organizzata sfrutta le aziende di quegli imprenditori, fino a prendere le attività e lo fa con i metodi mafiosi.
Vent’anni fa era impensabile che nel Nord fosse possibile che le imprese si rivolgessero alle mafie per avere servizi, consapevoli della criminalità organizzata e che cominciasse anche un clima di omertà tra gli imprenditori (come racconta il capo della Direzione Antimafia di Milano, Alessandra Dolci).
L’allarme sociale, quindi, ci deve essere: anche questa battaglia non si vince se non c’è attenzione da parte dell’opinione pubblica.
Non si vince se anche i cittadini non cominciano a dire con chiarezza alla politica che battere le mafie deve essere una priorità.
Un’altra cosa importante riguarda la dimensione del fenomeno.
In questi anni abbiamo parlato molto di globalizzazione.
Se c’è qualcosa che si è globalizzato veramente sono le mafie e in particolare la ‘ndrangheta.
La ‘ndrangheta è presente in più di 90 Paesi del mondo.
Con la Commissione Antimafia siamo stati in Canada, negli Stati Uniti, sappiamo che c’è un problema molto serio anche in Australia.
Il contrasto alle organizzazioni criminali va costruito su questa dimensione: non basta contrastare le mafie a livello nazionale. C’è una dimensione internazionale del contrasto che va ricostruita.
In Europa si stanno facendo alcune cose importanti: un passaggio importante è la costruzione della Procura Europea, un altro passaggio importante riguarda l’aver costruito l’Agenzia Europea di contrasto al riciclaggio, che vedrà luce nel gennaio 2023.
Si sta cominciando a diffondere in diversi Stati dell’Unione la cultura secondo cui occorre estendere la legislazione antimafia a tutti i Paesi europei, tra cui i reati associativi e la confisca dei beni.
Oggi le Procure italiane possono confiscare i beni ai mafiosi anche se sono in Francia o in Slovenia ma fino a qualche mese fa non era così e le mafie costruivano i patrimoni in Slovenia, in Svizzera al riparo delle confische.
Questa è una strada su cui bisogna continuare e, secondo me, è la frontiera della prossima attività legislativa che va fatta per migliorare il contrasto alle mafie.
Alcune cose si stavano facendo già ora ma, purtroppo, questa assurda crisi di Governo impedisce di realizzarle.
C’era da modificare la legge sull’ergastolo ostativo per impedire che la sentenza della Corte Costituzionale facesse venir meno il regime speciale di detenzione dei mafiosi.
C’era in corso la revisione del testo unico degli Enti Locali per modificare la legge sullo scioglimento dei Comuni che non funziona perché ci sono Comuni che sono stati sciolti più volte negli ultimi anni.
Saranno fatte nella prossima Legislatura.
L’importante è sapere che anche in campagna elettorale il tema della lotta alle mafie ci deve essere.
Chi ha già cominciato a dire che bisogna togliere le interdittive antimafia perché contrastano con la libertà di mercato e che, essendo la mafia meno pericolosa, bisogna abbassare un po’ di più gli strumenti di contrasto lo deve dire in campagna elettorale. Noi diremo il contrario e sono convinto che anche la campagna elettorale debba servire a spiegare che la mafia è un problema serio in Italia e può condizionare in maniera drammatica la nostra democrazia.

Video del primo intervento» 

Si andrà a votare il 25 settembre e le scelte le faranno i cittadini.
Io non sono mai spaventato quando si va al voto. Sono spaventato quando “il Palazzo” si dimostra autoreferenziale e distante dai bisogni dei cittadini e del Paese come è avvenuto con il mancato rinnovo della fiducia a Draghi.
Quello che è avvenuto in Senato non è successo per caso: c’è stata la scelta da parte di alcune forze politiche di far prevalere interessi di parte e una convenienza di parte, magari pensando di ottenere poi qualche voto in più alle elezioni piuttosto che continuare ad andare avanti con in Governo che, per la credibilità che ha avuto in questi mesi, poteva fare ancora un pezzo di percorso.
In queste settimane tutti hanno raccontato di agire preoccupati dalla crisi che stiamo vivendo, dalla crisi energetica, dall’aumento dei costi delle bollette, dall’aumento dei prezzi degli alimentari e dalle conseguenze che possono avere sui cittadini ma poi M5S, Lega e Forza Italia hanno deciso di consegnarci due mesi di campagna elettorale e sono i due mesi in cui si potevano concretizzare le norme contenute nel decreto che cominciava ad affrontare l’agenda sociale, a partire dalla questione dei salari.
Il potere di acquisto dei salari italiani è ridotto ai minimi termini e, quindi, è fondamentale la questione del taglio delle tasse sui salari per fare in modo che questo produca un’ulteriore mensilità per i lavoratori, in una fase come questa.
Inoltre, c’era da approvare la legge sul salario minimo; occorreva chiudere i contratti; intervenire per ridurre l’impatto dei costi delle bollette.
Questo è ciò che volevamo fare.
Inoltre, dovevamo finire una serie di incombenze necessarie per avere la prossima trance dei finanziamenti del PNRR: ci mancavano il decreto competitività, che forse faremo ma togliendo le norme sui taxisti e una serie di cose perché si è preferito tutelare le corporazioni piuttosto che affrontare i temi; la riforma del processo tributario (che non so se riusciremo a fare), che era ormai vicina e avrebbe creato le condizioni, attraverso delle premialità, per fare in modo di ridurre i contenziosi, che sono in numero enorme.
Erano, quindi, tutte cose concrete che servivano ai cittadini.
Sulla mafia, c’è una legge sullo scioglimento dei Comuni per mafia ma non la faremo.
Non riusciremo a fare neanche la riforma dell’ergastolo ostativo e, ancora una volta, sarà la Corte Costituzionale a legiferare.
Penso che impedire che tutto questo si possa fare per sventolare una bandierina di parte sia stato un errore tragico per il Paese e penso che dovremo spiegarlo ai cittadini.
Adesso è partita l’elencazione delle promesse come ad esempio “un milione di alberi”, ma faccio presente che, con il PNRR, la Città Metropolitana di Milano ne pianta già molti di più; oppure mille euro di pensione minima, o abolire le tasse (pace fiscale e al macero le cartelle esattoriali) e cose che, oltre a essere ingiuste, porterebbero il Paese ad una situazione drammatica.
C’è bisogno di ridurre le diseguaglianze, proteggere le persone più deboli e non di favorire i redditi già alti.
Se facciamo capire ai cittadini cos’è successo in questi giorni, resto convinto che le persone abbiano buon senso e capiscano.
A Varese tutto questo dovrebbe essere eclatante. Ci sono migliaia di imprenditori che in questa parte del Paese si sono affidati alla Lega. Mi aspetto che chi ha chiesto che il Governo Draghi restasse, sapendo che era conveniente per il Paese e per loro, di fronte a questa scelta che hanno fatto la Lega e Forza Italia, ora scelga di non farsi più rappresentare da loro.

Video del secondo intervento» 
Video del dibattito» (All'incontro sono intervenuti Franco Mirabelli, Fabio Bottero, Nadia Rosa, Giovanni Corbo, Rosalba Folino). 

 

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